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biennale d'Arte Venezia 2015 Foto di luciapecoraro.com

Pochi giorni fa, tra le mille mail, ho ricevuto una newsletter di un webzine di Chicago che segnalava alcuni artisti internazionali emergenti.
L’occhio m’è balzato subito su un’immagine di uno spazio tappezzato da una “moquette da parati” colorata.

La memoria visiva mi ha immediatamente collegato ad una bellissima esperienza che ho vissuto, quando sono stata al Chiostro del Bramante nel 2019 in occasione della mostra Dream a cura di Danilo Eccher.

A Roma l’artista-designer Alexandra Kehayoglou con l’opera What if all is aveva rivestito (pareti e soffitto), con un processo di tufting manuale, la scala interna del Chiostro del Bramante, che collega il pian terreno con il primo piano espositivo.

Si trattava di un percorso attraverso la Patagonia, di un viaggio in ricordo a quando i suoi antenati erano fuggiti dalla guerra greca-turca carichi di un telaio, attrezzo legato alla tradizione famigliare di fabbricare tappeti.

I nonni greci di Kehayoglou, infatti, iniziarono a produrre tappeti in stile ottomano a Isparta, nell’odierna Turchia. Dopo lo scoppio della guerra, la famiglia fuggì, arrivando negli anni ’20 in Argentina.

Oggi, la famiglia possiede El Espartano, una delle più grandi aziende di tappeti del Sud America.

Da studente ad artista

Classe 1981, Alexandra ha studiato pittura e fotografia presso la National University of the Arts di Buenos Aires. 

Dopo la laurea, ha iniziato a realizzare stanze in miniatura, complete di mini mobili e create dentro a delle scatole. 
La particolarità in queste stanzette era il contesto: immerse nella natura, nella Pampa o sulla spiaggia. 

Poi, sono nati gli arazzi raffiguranti territori texturizzati e multicolori, tutti realizzati meticolosamente con fibre naturali, in particolare lana, e a mano.

Il suo laboratorio è un grande spazio nascosto sul retro di una delle strutture del complesso di El Espartano, alla periferia della capitale argentina. 

Si dice che qui, Alexandra è solita innalzare i suoi tappeti perpendicolarmente al suolo – sostenuti da una grande impalcatura – e lavorare indossando delle cuffie protettive per silenziare il rumore prodotto dalla macchina da cucire.

@luciapecoraro Palazzo Grassi, Venezia 2018

Il suo lavoro è poderoso ed è ovvio che per un suo progetto necessita di mesi per essere completato. Eccezione è stata per la sfilata dello stilista belga Dries Van Noten, durante la settimana della moda di Parigi nel 2014, in cui Alexandra in soli 16 giorni era riuscita a realizzare un lungo tappeto a copertura della passerella, a mo’ di sentiero di un bosco muschiato, in ispirazione all’opera shakespeariana Sogno di una notte di mezza estate.

Alexandra l’abbiamo rivista nel 2017 in un progetto di MVRDV per la nuova aula magna di 240 mq della fondazione JUT che combina design architettonico e l’arte pubblica di Alexandra con i suoi rivestimenti di arazzi e tappeti, per creare uno spazio non convenzionale che suggerisce un paesaggio naturale in cui la trama imita il carattere morfologico delle piante acquatiche, dei licheni e della vegetazione di uno stagno. 

@luciapecoraro Palazzo Grassi, Venezia 2018

“È difficile per la gente capire che un tappeto può essere arte”

Dice l’artista.

Un pensiero condivisibile e persino discutibile per chi di arte la fa e la studia, come scriveva Fernanda Fraioli sul Corriere dell’Umbria in Quando l’arte è difficile da capire (2015). Definire cosa è Arte e cosa è “oggetto di rifiuto solido urbano”, secondo l’articolo di Fraioli “non è soltanto la domestica a non capire, ma una platea ben più nutrita che tace una certa verità, celando la propria indegnità a comprendere l’arte?”.

Personalmente appenderei immediatamente un lavoro di Alexandra Kehayoglou in casa. Lo installerei nella stanza più importante e me lo guarderei tutto il giorno, dopo però averlo “provato”, magari a piedi nudi!

Sì, perchè la sua arte non è mera decorazione, la definirei sensoriale, come lo sono i tappeti che si regalano ai bambini appena nati (per fare un esempio semplice), che permettono loro di giocare e apprendere allo stesso tempo, favorendo lo sviluppo cognitivo grazie alla manipolazione e all’attivazione della micromotricità.

L’arte non è solo un’opera appesa alla parete.

L’arte è la nostra palestra di allenamento e sperimentazione per la nostra capacità di osservazione.

Il grande Bruno Munari diceva “Saper vedere per saper progettare”, dove per progetto non è la sola costruzione di un’abitazione, ma la scelta nella nostra vita e l’abilità di comprendere quello che accade nel mondo.

L’arte è cambiamento e forse anche noi lo stiamo facendo…